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Intervista del Resto del Carlino a Paola Dozza

9 Gennaio 2020
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Piccoli ma multinazionali è l’asso nella manica di Pactur.

Premio Mascagni a Pactur.

 

Una piccola azienda dal cuore artigianale e la vocazione industriale. È la carta d’identità della Pactur, che realizza e commercializza in tutto il mondo macchine automatiche per il confezionamento in film termoretraibile.

Fondata nel 1986 da Andrea Turra, oggi alla guida di Pactur c’è Paola Dozza, entrata 25 anni fa con una laurea in lingue e da due anni nuda proprietaria dell’azienda.

Testo dell’intervista del Resto del Carlino dopo la consegna del Premio Mascagni a Pactur:

Dozza, come sopravvivere con dieci dipendenti in una Packaging Valley fatta di giganti?

«Offrendo un servizio che gli altri non sono in grado di offrire: macchine pronte a rivestire qualunque cosa. I clienti arrivano qui con un oggetto, ci dicono ‘devo imballarlo’, e da quel momento il loro problema diventa un nostro problema».

Ecco, cosa imballate?

«Impossibile fare una lista davvero esaustiva. Dall’alimentare ai prodotti di grafica, dalla componentistica per automotive alla cosmetica… dalle forme regolari a quelle più anomale».

E le quantità? Conteranno anche loro.

«Abbiamo piccole macchine manuali, praticamente standard, e impianti complessi in grado di imballare i prodotti in uscita da una linea di produzione. Questa flessibilità, anzi, è stata fin dalla nascita una delle due chiavi del nostro successo».

E l’altra?

«Fin dall’inizio il fondatore, Andrea Turra, ebbe l’intuizione di guardare all’estero, per non legarsi, oltre che a una sola tipologia di prodotto, anche a un solo mercato nazionale. Negli anni della globalizzazione e, poi, in quelli più recenti della grande crisi, quella scelta si è rivelata la nostra salvezza».

Per quello a un certo punto è arrivata lei, giovanissima laureata in lingue.

«Da studentessa non ho mai pensato di insegnare, o di fare la traduttrice: il mio sogno era conoscere le lingue per poter spiegare a più persone possibile ciò di cui mi occupavo».

Per sopravvivere, all’estero avrete guardato ai subfornitori oltre che ai clienti…

«Mai, e mai lo faremo. Vede, un’azienda piccola come la nostra non può competere sulla quantità o sul prezzo. Occorre puntare sulla professionalità, sulla qualità, sul design, ed è per questo che ancora oggi continuamo a farci tutto totalmente da soli, dalla progettazione al collaudo finale. L’estero per noi è l’azienda che ci vernicia le lamiere a pochi chilometri da qui: uno di quei rari lavori per cui ci affidiamo all’esterno».

L’ultima novità?

«Da qualche anno abbiamo ampliato la nostra gamma aprendoci alle macchine fardellatrici: un tipo particolare di imballaggio che non prevede la chiusura totale, come avviene ad esempio per le confezioni d’acqua».

E il futuro?

«Prendere la cartina del mondo, e aggiungere bandierine. Continuando a offrire la soluzione ideale ai clienti che fino a quel momento non l’avevano trovata».”

CLICCA QUI per vedere l’intervista

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